Il dito, la luna e il libro

Un celebre detto afferma che, quando il dito indica la luna, il saggio guarda la luna e lo stolto il dito. Con tutto il rispetto per i detti tradizionali, a volte è comunque interessante guardare il dito, specie se indica nella direzione sbagliata.

Il dito in questione è un lapidario editoriale di Francesco Giubilei su cultora, dal titolo definitivo: Una pietra tombale sugli ebook, il futuro del libro è di carta. Prima di entrare nello specifico di questo pezzo, vediamo i dati dell’ultimo rapporto dell’Associazione italiana editori (si trovano qui, pagina 12). Bene, dopo anni di crescita tumultuosa a due cifre, il 2017 ha visto il valore del mercato ebook crescere solo del 2 per cento.

Il valore complessivo del mercato librario è cresciuto, nello stesso periodo, del 2,5 per cento, per cui sembrerebbe che vi sia stata effettivamente una contrazione; solo che, sempre stando ai dati AIE, questa crescita del fatturato è dovuta essenzialmente all’aumento del prezzo di copertina, dato che il numero di copie vendute si è comunque ridotto dell’1,7 per cento. Visto che il prezzo degli ebook sembra essere rimasto sostanzialmente stabile, siamo semmai in presenza di una leggera crescita, non certo di una pietra tombale.Fin qui, abbiamo preso in esame i dati italiani; proviamo ad allargare lo sguardo. Il mercato USA, per esempio, rivela una forte crescita degli ebook nell’ultimo anno (più del 20 per cento, da 221 a 266 milioni di copie), mentre le vendite di libri cartacei sono salite appena dell’1,7 per cento. Tornando in Europa, vediamo che in Germania, per esempio, è stato venduto il 4 per cento di ebook in più, a fronte di una contrazione complessiva del mercato per l’1,6 per cento (qui si trova una presentazione molto ben fatta dello stato del mercato editoriale tedesco). Si potrebbe andare avanti a lungo, ma il succo è che, nei Paesi occidentali, si leggono sempre più ebook, anche se la crescita può essere, in alcuni casi, contenuta.

A tutto questo si dovrebbero aggiungere i numeri del self-publishing, per i quali la frazione digitale è particolarmente significativa, specie per quanto riguarda i titoli pubblicati e le copie vendute (meno i volumi di vendita, dato che in questo caso i prezzi unitari sono molto più bassi del corrispettivo cartaceo). Il rapporto Bowker evidenza come il 18,85 per cento dei titoli autopubblicati negli USA nel 2016 sia uscito solo in ebook, senza contare le versioni digitali dei libri stampati. Anche l’AIE sottolinea il legame tra self-publishing e ebook. In mancanza di dati generali e sapendo bene che le dimensioni reali del self-publishing, specie per quanto riguarda i dati di diffusione delle copie, tendono a rimanere al di fuori delle stime dell’industria editoriale tradizionale.

Al di là di questi numeri, l’elemento più significativo sembra contenuto a pagina 18 del rapporto AIE, dove si evidenza, con un questionario a risposta multipla, che i lettori hanno comportamenti misti, che spesso leggono libri di carta e ebook e ascoltano persino gli audiolibri. Gli utenti sanno bene che i diversi formati non sono necessariamente in concorrenza, che anzi creano buone sinergie e, soprattutto, che la situazione è fluida: gli ebook esistono sul mercato da appena sette anni, le loro possibilità di sviluppo sono in massima parte inesplorate, dato che gli editori, italiani e non solo, non hanno fatto esattamente il massimo per capirne e valorizzarne le possibilità.

Bene, acclarato che la luna si trova da tutt’altra parte, proviamo a guardare meglio questo benedetto dito: insomma, proviamo a capire i riferimenti culturali di chi ha deciso che gli ebook non gli piacciono a prescindere, tanto da gioire per la loro (improbabile, come si è visto) dipartita. Le ragioni sono presto dette: “I libri di carta continuano ad avere un fascino insostituibile, i diversi formati, le grafiche, il carattere scelto, e ancora, il tipo di brossura e di copertina… Poi c’è l’odore della carta a cui Ian Sansom ha dedicato uno splendido libro, una sensazione unica e irriproducibile per ogni amante dei libri.” Insomma, si tratta di una questione di paratesto: i libri di carta hanno caratteristiche fisiche proprie e insostituibili. Tutto vero, tutto giusto ma, per dirla in modo icastico, anche sticazzi.

Cerco di esprimermi meglio: si può dare tutta l’importanza che si vuole alla copertina, alla rilegatura e all’odore della carta. Indubbiamente, siamo abituati a esperire il mondo attraverso una combinazione delle informazioni sensoriali che riceviamo e, in questo senso, le nostre esperienze “fisiche” ci sembrano più reali di quelle digitali. Solo che, se vogliamo essere all’altezza dello sviluppo culturale e intellettuale che associamo alla condizione dei lettori, non possiamo confondere percezione e sostanza, o αἴσθησις e οὐσία: mi pare che identificare ciò che un libro è davvero con la sua forma attualmente prevalente sia un grossolano fraintendimento, che ci porta indietro rispetto alle primissime distinzioni operate dal pensiero occidentale (e già che ci siamo, anche da quello indiano e cinese).

Insomma, poter dire con certezza che qualcosa “esiste” è notoriamente una faccenda complicata, ma certo possiamo definire un livello base di esistenza adatto alla vita quotidiana e non troppo problematico. Una definizione di questo genere, particolarmente utile perché al contempo stesso estremamente ampia ma sufficientemente rigorosa, è che qualcosa esiste se può avere un’influenza diretta su altre cose esistenti.

Così, per esempio, possiamo avere ogni dubbio filosofico sull’esistenza di Dio, dato che non abbiamo dati certi sulla sua influenza diretta su alcunché, ma certo non sull’esistenza della religione come dispositivo sociale. Allo stesso modo, per dire, il denaro che si trova sul mio conto e che utilizzo per fare acquisti on line esiste esattamente come quello rappresentato dalle banconote nel mio portafoglio, il testo che leggo su uno schermo ha lo stesso valore, in termini di accrescimento della mia conoscenza e cultura, di quello letto sulla carta.

Per inquadrare meglio la questione, cito un altro passaggio dell’editoriale di Giubilei: “I libri cartacei sono i custodi della nostra storia e delle nostre tradizioni, hanno accompagnato la vita dell’uomo dall’antichità ai nostri giorni diffondendo il sapere ma anche facendo emozionare e trasmettendo sensazioni uniche”. No, Giubilei dice una castroneria: i libri cartacei non esistono affatto fin dall’antichità.

Il codex, vale a dire la serie continua di fascicoli uniti da una rilegatura o, in parole più semplici, il libro nella forma che conosciamo, nasce tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo, quindi ben dopo la fine dell’antichità classica, e non è difficile immaginare che anche allora vi fosse un antenato di Giubilei che deprecava la barbarie di questa nuova forma, rimpiangendo il piacere di srotolare i papiri o il profumo delle lastre di piombo su cui si incidevano i testi più importanti.

Il libro rilegato, a sua volta, è passato per continue trasformazioni, dovute tanto alle innovazioni tecnologiche quanto ai cambiamenti nelle abitudini di lettura e alle necessità commerciali e industriali: un paperback da aeroporto è un oggetto molto diverso da un codice miniato del dodicesimo secolo. Differenze analoghe si riscontrano nell’organizzazione dei testi e in tutto l’apparato di riferimenti che li attraversa, dagli indici alle note; di più, se un codice medievale era, il più delle volte, composto da diversi libri messi insieme per ragioni di contiguità testuale o, spesso, di disponibilità di testi e carta, i volumi di oggi tendono a contenere un solo testo unitario o, al massimo, una raccolta di testi organizzata secondo un piano ben definito.

Insomma, i libri hanno avuto un rapporto estremamente complesso e articolato con i lettori, che sarebbe profondamente ingiusto appiattire sui feticismi, innocui e condivisibili quanto si vuole ma pur sempre estemporanei, delle esperienze tattili e olfattive tanto care a Giubilei e molti altri. La storia dei libri e dei lettori si inserisce nel quadro più ampio di quello del rapporto dell’umanità con la scrittura, il quale a sua volta è un capitolo della nostra relazione con il linguaggio, quindi con la nostra stessa essenza di uomini: le epoche si sono succedute, le trasformazioni sedimentate, il sapere si è ripensato continuamente, in una continua interazione di istanze culturali, tecnologiche, sociali, economiche ed esistenziali. Si tratta di una storia ricca, complessa e fondamentale, che chi dice di amare i libri dovrebbe conoscere e approfondire con la passione e la dedizione che merita.

Certo, con tutto questo ognuno fa un po’ come gli pare: chi ritiene che le esperienze tattili e olfattive, la veste tipografica curata dall’editore, l’accumularsi di segni e anni sulla carta siano degli appigli fondamentali per aggrapparvi la propria esperienza di lettura, ha tutto il diritto di farlo. Vengono, però da dire due cose.

La prima è che non si vede perché ciò debba necessariamente tradursi in ostilità verso gli ebook, proprio come la passione per il basket non implica necessariamente il disgusto per la pallavolo, o quella per il risotto giallo non si traduce in disdegno per il polpo alla luciana. A voler fare psicanalisi spiccia, verrebbe quasi da pensare che questa ostilità assomiglia al machismo esasperato e all’omofobia di chi fa una bandiera della propria eterosessualità, pur senza esserne intimamente così convinto. La seconda è che, come esistono diversi lettori con esigenze e appetiti differenti, esistono anche diversi libri e differenti modi di leggerli: per esempio, molti continuano a leggere romanzi e letteratura di intrattenimento su carta, ma preferiscono il formato digitale per la saggistica, la ricerca o il lavoro.

Insomma, come testimoniano sia il rapporto italiano, sia quello tedesco, i lettori, specie quelli forti, utilizzano tutti i formati, con un approccio multilaterale al testo che sfugge ai feticisti dell’oggetto. La convivenza di carta e ebook è il futuro prossimo, una guerra di religione non ha, semplicemente senso.

C’è, infine, un terzo passaggio del testo di Giubilei, che mi sembra opportuno leggere con attenzione: “Con la fine dei libri di carta si era profetizzata anche la progressiva chiusura delle librerie, soprattutto quelle indipendenti. Anche in questo caso, dopo gli anni bui della crisi (non solo economica ma anche culturale) stiamo assistendo a una rinascita delle librerie indipendenti. Non solo un negozio in cui acquistare libri ma uno spazio in cui organizzare eventi, presentazioni e reading, dove chiacchierare con il libraio, lasciarsi consigliare, entrare in contatto con altri lettori e fare parte di una vera e propria comunità di amanti dei libri.” Bene, siamo d’accordo: le librerie non sono semplici supermercati di libri disposti sugli scaffali; del resto, e il paragone non suoni irriverente né polemico, anche le salumerie e le enoteche sono posti dove non ci si limita a comprare ma ci si informa, si sceglie e, persino, si socializza.

Il punto è che le librerie, come del resto le enoteche e le salumerie, non possono restare prigioniere dell’oleografia di un modello da piccolo mondo antico, con il libraio che spunta, con il suo maglioncino bucato, dietro precarie colonne di volumi polverosi. Le librerie possono diventare anche altro, luoghi dove incontrarsi e parlare di libri, dove trovare tanta roba subito (e qui l’estrema disponibilità dei libri digitali può tornare assai utile) e dove passare del tempo, magari comodamente, a leggere. Che le librerie indipendenti ci siano e crescano è un fatto positivo, ma certamente potranno continuare a farlo se sapranno evolvere. Da questo punto di vista, mi sembra interessante riprendere il rapporto, citato prima, della Börsenverein des Deutschen Buchhandels, l’associazione degli editori e dei librai tedeschi. Il quadro generale è quello di un’industria “stabile in un contesto di grande trasformazione dei media” proprio perchè è riuscita ad adattarsi. Al centro di questo adattamento si trovano le piccole librerie indipendenti, che in molti casi hanno aperto negozi online: “le attività online delle librerie assumono sempre maggiore importanza. Anche se il calo della frequenza dei clienti nei negozi al dettaglio ha portato meno acquirenti nelle librerie, questi clienti hanno comprato più titoli pro capite, spendendo anche più soldi in libri”. Il digitale è un alleato, per i lettori, per i librai e per la cultura. Pazienza se non odora di carta.